Per tutelare l’esistenza dello Stato, sono ammessi tutti i mezzi: massacri, provocazioni, torture e ogni tipo di crudeltà. Questo principio è alla base del modo di operare della contro-guerriglia, e questo determina il loro grado di illegalità. La contro-guerriglia non dovrebbe essere concepita come un’organizzazione che distrugge e brucia tutto, che commette massacri e pianifica provocazioni e intrighi; ed invece fa ampio uso proprio di questi metodi nella guerra contro il popolo. Ma questo è solo un lato della medaglia. La contro-guerriglia dovrebbe essere percepita piuttosto come una delle tante organizzazioni create per fare la guerra “contro la gente”, dovrebbe essere vista in un contesto di conflitto globale. E’ totale perché coinvolge quasi tutte le sfere di influenza: economiche, democratiche, politiche, ideologiche, psicologiche e militari. La regola della guerra è inasprire il contrasto alla lotta rivoluzionaria che cresce, usando sempre nuovi mezzi. Le “guardie cittadine” (para-militari) -istituite dopo il 1985-, il numero crescente di esecuzioni (dall’inizio degli anni ‘90), omicidi di massa, rapimenti, omicidi di “sconosciuti”, l’istituzionalizzazione del tradimento (disertori), le attività in crescita di agenti e informatori sotto copertura, le squadre speciali, la legalizzazione del sistema di protezione del villaggio, il reclutamento di squadre speciali, lo stato di emergenza e le leggi anti-terrorismo, costituivano, insieme a tutti gli altri attacchi, un’aggressione crescente da parte della contro-guerriglia.
ESECUZIONI, SCOMPARSE E VITTIME DI “ASSASSINI IGNOTI”
Esecuzioni, rapimenti e omicidi di “sconosciuti” erano “pratiche” dei contro-guerriglieri che si intensificarono rapidamente dopo il 1991. Questo sviluppo non venne fuori dal nulla, naturalmente. Il 1990 e il 1991 furono gli anni in cui Devrimci Sol (Dev-Sol) crebbe rapidamente. Il rafforzamento dell’opposizione rivoluzionaria ha scioccato l’oligarchia nelle sue fondamenta con proteste di massa, con dozzine di azioni armate e punizioni. Il movimento nazionale curdo, che dissero di avrebbero “sterminato” in primavera non poteva essere estirpato. Inoltre, il 1990 e il 1991 furono gli anni delle proteste popolari e dell’Intifada in Kurdistan. Lo Stato, sentendosi messo all’angolo dall’espansione del movimento rivoluzionario e perdendo la sua superiorità psicologica, iniziò una nuova ondata di aggressività. Il capitolo delle sparizioni è iniziato con Yusuf Eristi, “preso in custodia” il 14 maggio 1991, a Belgradkapi-Istanbul. Sebbene i testimoni abbiano dichiarato di aver visto Yusuf Eristi alla stazione di polizia, quest’ultima non ha mai riconosciuto ufficialmente di averlo arrestato. Da allora, i rapporti sulle “sparizioni” aumentarono continuamente. Sebbene il numero esatto sia sconosciuto, il saldo degli ultimi tre anni mostra oltre 400 persone scomparse. Tra il 1980 e il 1991, ci sono stati solo tredici casi, nel 1991 quatto persone sono scomparse, nel 1992 ne sono scomparse altre otto e nel 1993, per quanto è possibile stabilire, 23. Ciò significa che non c’era una “politica sistematica” di “scomparse” in quel periodo, mentre il numero delle “sparizioni” è cresciuto in modo esponenziale dal 1993, come metodo della contro-guerriglia, diventando una politica statale calcolata. Nel 1994, si sono verificati 24 casi. 229 persone furono “rapite” in Kurdistan e non furono mai più viste. Nel 1995, sono scomparse 213 persone quando erano sotto la custodia della polizia. Il metodo è stato replicato dalla CIA. Negli anni precedenti hanno testato e applicato questo metodo in altri paesi, come ad esempio:
• Guatemala: dal 1966, decine di migliaia di persone sono state rapite e uccise dallo Stato.
• Uruguay: la giunta, prendendo il potere nel giugno del 1973, fece sparire migliaia di rivoluzionari nelle profondità della giungla e nelle fogne.
• Cile: il generale Pinochet, che rovesciò il governo di Allende, eletto dal popolo nel 1973, imprigionò migliaia di rivoluzionari e oppositori negli stadi e li fece massacrare.
• Argentina: i generali hanno preso il potere nel 1976. La giunta ha arrestato e ucciso circa 30.000 persone. Migliaia furono gettati dagli aerei in mare.
• Perù: circa 4 negli ultimi 10 anni.
Perché lo Stato turco ha ritenuto necessario applicare questa politica? Ci sono molte risposte possibili. Il metodo delle sparizioni è stato preferito alla reclusione e alle soluzioni incerte, e come detto dal leader del colpo di Stato, generale Evren: “Dovremmo nutrirli invece di appenderli?”. In conclusione l’obiettivo (e questo è certo) non è solo l’annientamento fisico dell’opposizione, ma l’intimidazione della gente. Gli “assassini ignoti” sono usati come elemento di guerra psicologica. Rivoluzionari, democratici e patrioti vengono portati via dalle loro case, dal loro posto di lavoro o dalla strada, e i loro cadaveri vengono gettati in fossi o fiumi, di solito dopo averli sottoposti a torture. I segni sul corpo sono di solito chiaramente visibili e il contro-guerrigliero non si preoccupa di nascondere i cadaveri, sono piuttosto lasciati in luoghi facilmente reperibili. Come se non avessero il tempo di “nasconderli”. I funzionari di Stato ripetono che la polizia, gli organi di sicurezza, agiscono contro il terrore “nel rispetto della legge”, ma la contro-guerriglia mostra apertamente la sua impudenza, non essendo ostacolati da una legge o da un decreto contro il massacro e la tortura.
L’aumento del numero di esecuzioni dal 1991 è il risultato di questa politica. L’assassinio dei combattenti Dev-Sol Olcay Uzun e Faruk Bayrakci il 9 aprile 1991 a Izmir, di Hatice Dilek e Ismail Oral il 19 maggio 1991 a Bayrampasa-Istanbul, di Perihan Demirer il 28 maggio 1991 a Besiktas-Istanbul, e il massacro di 11 persone (tra cui 10 membri del Dev-Sol) il 12 giugno 1991 a Balmumcu, Nisantasi, Dikilitas e Yeni Levent-Istanbul, ha rivelato che lo Stato ha sviluppato la sua politica di esecuzioni in modo sistematico. Da allora, centinaia di presunti rivoluzionari e patrioti sono stati uccisi in tutta la Turchia con il pretesto di razzie contro cellule rivoluzionarie. L’obiettivo era ucciderli, non arrestarli. Le armi furono piazzate accanto a persone disarmate per suggerire uno scontro a fuoco. Le esecuzioni arrivarono fino a colpire simpatizzanti e sostenitori democraticamente attivi. Uno degli esempi più recenti è stato l’omicidio di Irfan Agdas, in mezzo alla strada, mentre stava distribuendo il settimanale Kurtuluş. Allo stesso modo in Kurdistan, patrioti poco più che adolescenti furono assassinati mentre distribuivano i giornali Ozgur Ulke e Ozgur Gundem. La politica delle esecuzioni non era limitata alle grandi città, bensì era una politica statale che copriva l’intero paese. Lo Stato prese posizione per annientare totalmente la guerriglia, per non prenderli in vita. Ad eccezione di quelli che si arresero, iniziarono a giustiziare i guerriglieri catturati vivi dopo un combattimento, invece di arrestarli. Le esecuzioni e i massacri furono estesi dalla guerriglia alla popolazione del villaggio, sospettata di supportarla logisticamente. Persone che sono state prese dai loro villaggi o che sono state convocate alla stazione di polizia, non sono mai state riviste vive e i loro corpi, spesso torturati, sono stati trovati sui cigli delle strade. Il numero crescente di esecuzioni e di sparizioni fanno evincere che lo Stato con queste azioni, non solo vuole eliminare fisicamente gli oppositori, ma vuole spargere anche terrore tra la popolazione. È loro intenzione intimidire e sottomettere i rivoluzionari, far sì che perdano di vista gli obiettivi, per mostrare loro cosa devono aspettarsi nel caso in cui continuino la loro lotta per il popolo, contro lo Stato. Anche i massacri degli anni passati nelle prigioni di Buca, Umraniye e Diyarbakir devono essere visti in questa prospettiva. La gente è già stata imprigionata, ma per la contro-guerriglia ciò che conta non sono i prigionieri, bensì la resistenza, che vogliono sconfiggere. La contro-guerriglia non riesce a sopprimerla con gli attacchi mirati, quindi la repressione culmina in omicidi di massa. Questa è una minaccia, non solo per chi è in prigione, ma anche per coloro che continuano la lotta all’esterno. Il messaggio della contro-guerriglia ai rivoluzionari e ai patrioti è questo: “Non credere che dovrai solo passare attraverso la tortura, poiché possiamo ucciderti in prigione ogni volta che vogliamo. Qui non c’è alcuna garanzia per la tua vita”. Come noi, tutti gli oppositori, i democratici e i patrioti conoscono l’alto prezzo da pagare per essere un rivoluzionario in un ambiente fascista: si è presi in custodia, torturati e arrestati e gettati in prigione. Queste sono conseguenze quasi naturali della lotta e dello scontro con il nemico. Come rivoluzionario, bisogna accettare il prezzo da pagare e se ne deve prendere coscienza durante la lotta. La contro-guerriglia però vuole alzare il prezzo della partita dando un giro di vite alle pratiche di oppressione, terrore, massacri, sparizioni, esecuzioni, “assassini ignoti”. Dimostrando che non sono vincolati da leggi o regolamenti giudiziari, vogliono erigere un muro di paura nelle menti, non solo di quelli che sono direttamente attivi nella lotta, nella guerriglia e nelle milizie, ma anche e soprattutto nella mente del popolo – anche di quelli che svolgono mansioni in ambito democratico, patrioti, normali lavoratori e membri del sindacato. Sebbene sia impossibile per loro uccidere tutti i rivoluzionari, i patrioti, i simpatizzanti e i sostenitori, vogliono dire alla gente questo: “Per essere uccisi, rapiti o picchiati a morte, non è necessario portare un’arma addosso.” Per diventare un bersaglio per il contro-guerrigliero, basta distribuire una rivista rivoluzionaria, essere attivo in un’associazione legale, mostrare solidarietà ai rivoluzionari. Perché la legge del contro-guerrigliero non conoscere alcuna legge. Hanno perso ogni senso di colpa e punizione: per loro un nemico è solo un nemico, non importa quello che ha fatto, indipendentemente che le sue azioni siano punibili per legge o no. Un nemico è un nemico e ogni tipo di punizione è giustificata. E così: “Se sei un rivoluzionario, l’intimidazione è di stare attenti ai passi che fai. Se non lo sei, allora tieniti lontano da loro, non partecipare ad azioni contro lo Stato, altrimenti per te potrebbe finire male”. Bene, ora sorge spontanea la domanda: lo Stato ha successo con questa politica, o il suo vero carattere si rivela ancora più in difficoltà a causa di questa politica? Lo Stato applica metodi più moderni e sviluppa nuove strategie per ottenere risultati a qualsiasi prezzo, un atto che significa anche il fallimento della strategia precedentemente praticata per sopprimere la lotta rivoluzionaria. Non è riuscito a sopprimere l’opposizione rivoluzionaria e democratica con la sua politica di esecuzioni extragiudiziali, di omicidi da parte di “assassini ignoti” e le sparizioni. Ad ogni modo, affermare che questa politica non ha avuto alcun effetto sulle persone sarebbe estremamente ottimista. Ha svolto un ruolo “vincolante” in determinati luoghi. È ovvio che la diffusione della paura e l’aumento del “prezzo da pagare”, hanno causato il rafforzamento della tendenza a tornare al sistema della piccola borghesia, che non si è mai separata completamente dal Sistema, e anche delle organizzazioni rivoluzionarie piccolo-borghesi. Ogni volta che lo Stato nega questa politica, non può impedirne la rivelazione. Per “allungare la vita” dello status quo, di dover scegliere tra impedire una rivoluzione e rischiare di essere smascherato, sceglie per quest’ultimo, ovviamente. È costretto a correre questi rischi, perché non ha la capacità e le risorse di invocare riforme democratiche ed economiche per soddisfare i bisogni della gente. Non ha un’alternativa alla repressione e al terrore per sopprimere l’opposizione del popolo.
È POSSIBILE PREVENIRE I MASSACRI, LE “SCOMPARSE”,
GLI OMICIDI DA PARTE DI “ASSASSINI IGNOTI”?
Bisogna rendersi conto che una totale eliminazione di questa politica di terrore non è possibile. Non solo in paesi come il nostro il fascismo controlla lo Stato, ma anche nelle democrazie borghesi in Europa una totale prevenzione di queste pratiche è stata impossibile. Questi metodi sono in particolar modo applicati contro le organizzazioni che sostengono la lotta rivoluzionaria armata.
L’eliminazione assoluta di questa politica è possibile solo attraverso una rivoluzione. Solo una rivoluzione è in grado di porre fine a questo sistema terroristico delle classi dominanti. Ma ciò non significa che questa politica statale non possa essere trattenuta, o addirittura “paralizzata”. È possibile. La panacea è un impegno costante e insiste sulla lotta. Perché l’obiettivo di tutte le aggressioni del nemico è schiacciare la lotta. Smascherare lo Stato è importante, certo, ma in sé rimarrà inutile. Quando saremo capaci di espandere la lotta nonostante tutte le offensive dello Stato, la sua politica collasserà. Affronteremo ogni attacco del nemico con resistenza: quando attaccano le nostre basi, continueremo a non arrenderci mai, quando attaccano le nostre posizioni democratiche, non spianeremo la strada. Sosterremo ancora di più i nostri “scomparsi”, i compagni assassinati, i rivoluzionari, i democratici e i patrioti. Nonostante tutte le aggressioni, continueremo ad organizzare la gente, a collegarla alla lotta. Con il raggiungimento di questo obiettivo, la politica del nemico crollerà, e riusciremo a trasformare tutti i loro tentativi in un’arma che si rivolterà contro di loro.
APPENDICE
ALCUNI NOMI DI CHI E’ “SCOMPARSO”
HUSEYIN TORAMAN Ha lasciato la sua casa a Istanbul, Kocamustafa Pasa Demirci Sokak nr. 8/1 il 27 ottobre 1991 per fare spesa. Di fronte alla gente e a sua moglie, è stato trascinato in auto, targa 34 AT 256 e rapito da tre poliziotti in borghese. Dal 29 ottobre 1991, tutte le domande alle autorità sono rimaste senza risposta. Non è mai stato visto di nuovo.
ISMAIL HAKKI KOCAKAYA È stato arrestato il 23 novembre 1991 a Diyarbakir mentre faceva una passeggiata con la sua famiglia. I civili presenti sostenevano di aver visto un poliziotto che trascinarlo in una macchina, targa 21 E7 916. Il suo corpo è stato ritrovato il 27 novembre nella regione di Karadag. È stato confermato che l’auto utilizzata per il rapimento faceva parte delle macchine della polizia di Diyarbakir.
AYHAN EFEOGLU È stato arrestato il 6 ottobre 1992. Anche se quelli che sono stati arrestati nello stesso periodo hanno testimoniato che Ayhan Efeoglu era sotto custodia della polizia, il suo fermo non è stato revocato dalla polizia politica di Diyarbakir.
AYSEL MALKAC In qualità di collaboratrice e giornalista del giornale Ozgur Gundem, è andata avanti il 7 agosto 1993 per fare qualche ricerca. Da allora non è stata più vista. Tutte le domande sono rimaste senza risposta. Fino ad oggi la polizia nega di averla arrestata.
LUTFIYA KACAR È scomparsa dal 5 ottobre 1994. Sebbene i poliziotti del dipartimento antiterrorismo di Istanbul telefonassero all’ufficio di Kurtulus e dicessero che Lutfiya Kacar era nelle loro mani e che stavano per farla “sparire”, tutte le indagini sul caso delle autorità sono rimaste senza risposta fino ad oggi.
BEHCET CANTURK Un uomo d’affari curdo, è stato trovato morto il 15 gennaio 1994, a Spanca, sobborgo di Sakaraya.
KEREM GENERE Kerem Gencer, un prete, è stato trovato morto il 17 gennaio 1994, vicino al villaggio di Tatvan, nella regione di Kirkbudak.
YUSUF ZIYA EKINCI Avvocato di Ankara che fu trovato morto vicino a Golbesi-Ankara. Era membro della Giunta degli avvocati e difensore, tra l’altro, di Behcet Canturk – un uomo d’affari curdo anch’egli assassinato.
MEHMET SERIF AVSAR Commerciante trovato morto il 7 maggio 1994 nel villaggio di Tepebasi, vicino a Diyarbakir.
IKRAM MIHYAS Unionista. Il suo corpo fu trovato il 6 luglio 1994, nel villaggio di Yaka, vicino a Izmir.
L’IDEOLOGIA DELLA CONTRO-GUERRIGLIA E’ ALLINEATA CON IL FASCISMO
“Dovremmo appenderli, invece di dar loro da mangiare!”, ha detto il capo della giunta Kenan Evren, facendo riferimento ai rivoluzionari. A dicembre lo Stato Maggiore ha consegnato al Governo il suo “rapporto sui curdi”. Questo rapporto è basato, dall’inizio alla fine, su presupposti razzisti. Il rapporto afferma che la popolazione curda sta crescendo molto velocemente e che sono necessarie misure contro questo aumento demografico. L’intera popolazione curda è vista come un nemico. Se guardiamo da vicino, vediamo l’MHP (Lupi Grigi) dietro la mafia e la contro-guerriglia. L’affermazione secondo cui ci sono più fascisti come Catli che vengono usati dallo Stato, si sta dimostrando essere sempre più fondata. È noto che i contro-guerriglieri Mehmet Agar, Kemal Yazicioglu e Ibrahin Sahin appartengono all’MHP o hanno stretti legami con esso. I membri delle unità speciali che hanno compiuto macabri massacri come il taglio delle orecchie e del naso, il taglio delle teste, torture e stupri sulle loro vittime, sono quasi tutti fascisti dell’MHP. Prima del 12 settembre 1980, i fascisti uccisero centinaia di rivoluzionari e democratici e hanno attaccato i lavoratori in sciopero. Oggi sono di nuovo i fascisti che attaccano i rivoluzionari e i democratici nelle scuole e nelle università. È una pura coincidenza che tutti, dai contro-comandanti, fino ai funzionari della scuola siano razzisti? Che tutti guardino quelli che hanno un’opinione diversa come il nemico? Ovviamente no. Anche il contro-guerrigliero si basa su un’ideologia da cui trae la sua forza: l’ideologia del fascismo. Non importa se un membro della contro-guerriglia non appartiene all’MHP, la loro ideologia è sempre la stessa, perché tutti servono lo stesso obiettivo. Con il pretesto di proteggere lo Stato, usano tutti i mezzi per difendere gli interessi dell’oligarchia e del Sistema, mantenendo il regime al potere. Continuando la macabra politica del fascismo, svolgono il ruolo che gli è stato assegnato.
LA COERCIZIONE ALLO SPIONAGGIO
Nelle regioni e nei luoghi in cui la lotta rivoluzionaria è piuttosto intensa, spiare è diventata una delle attività della contro-guerriglia: cercano di espandere la loro rete di spie per ottenere il controllo su queste regioni, ricevendo informazioni immediate sulle attività rivoluzionarie. Vogliono diramare questa pratica nel modo più capillare possibile. Le spie vengono solitamente selezionate da persone che vivono o lavorano in queste aree. Tutti i servizi di intelligence, la contro-guerriglia e persino i poliziotti della stazione di polizia cercano di creare questa rete. All’inizio trovano volontari tra i reazionari, i fedelissimi dello Stato o i fascisti. Preferiscono le persone che vivono tra la popolazione e che ricevono rapidamente informazioni sugli sviluppi nella regione. I capi villaggio e i piccoli commercianti sono messi intensamente sotto pressione dalla propaganda. Coloro che non sono disposti a spiare volontariamente, sono incentivati da promesse di vantaggi personali. Come ultima risorsa, vengono applicate repressione e minacce. Nelle aree rurali, specialmente i capi villaggio, sono costretti a spiare. Queste persone ricevono telefonini o persino apparecchiature radio. La rete, composta dal capo villaggio e da altri abitanti, ha anche una struttura propria. Reti di spie sono formate nelle istituzioni statali e nelle fabbriche. Un esempio: per assicurarsi i suoi mezzi di sostentamento, una spia potrebbe essere impiegata come operaio o caporeparto in una fabbrica o in un’istituzione statale, lavorando nello stesso momento come spia della polizia. I mercanti di strada sono spesso usati in questo modo. È difficile smascherare una spia nel caso in cui non abbia palesi contatti con la polizia poiché, come chiunque altro, fanno un lavoro comune. Alla fin fine devono solo fare una telefonata. La migliore misura precauzionale è conoscere le persone nel nostro ambiente molto bene, osservarle da vicino, qualcosa che è comunque necessario quando lavoriamo con le masse. Ma non dovremmo vedere tutte le persone, specialmente non tutte le persone di destra, come spie. Inoltre, dovremmo portare avanti le nostre attività apertamente ed espanderci il più lontano possibile, anche a livello legale. Non dovremmo discutere certe informazioni in presenza di altri e non dovremmo rivelare inutilmente connessioni. Prima di ogni azione e di ogni protesta dobbiamo renderci conto che potrebbero verificarsi denunce e quindi adottare misure di sicurezza adeguate. La nostra gente ha sempre obiettato ogni tipo di spionaggio e collaborazione, non è un caso che i capi di polizia si lamentino di tanto in tanto della mancanza di sostegno tra la popolazione. Questo non significa che la polizia non stia continuando le sue attività di infiltrazione. Nel caso in cui una spia venga smascherata, dovrebbe essere presentata al popolo e punita, non possiamo permettere di legittimare questa attività.